FUTURE STYLE




SFUMATURE ELETTRONICHE

incontro a tutto campo con DECA

by Atom Institute

 

Il suo ultimo cd "Electronauta" è stato una vera sorpresa per molti. Ci aveva ormai abituati ad atmosfere abissali ed oscure, a profetiche rarefazioni, a sonorità ammantate di fascino notturno. A partire dal vinile di "Claustrophobia", nel lontano 1989, l'excursus musicale di Deca è stato costantemente improntato sulla ricerca di un equilibrio quasi mistico tra emozione interiore e grandi temi cosmici. Ma ora, all'alba del nuovo millennio, quando era lecito aspettarsi qualcosa di ancor più inquietante e apocalittico, una raffica di suoni elettrizzanti e ritmi vorticosi ha riportato sprazzi di luce dinamica nella sua discografia. Una parentesi o una svolta radicale? Lo abbiamo chiesto direttamente a lui, facendogli visita nel suo fantasmagorico laboratorio creativo.

> Dal precedente album "Phantom" ad "Electronauta" sono trascorsi solo due anni. Nessuno poteva pensare che bastasse così poco per maturare un cambiamento. Quali sono le radici di questo nuovo album?

Deca - Le radici di "Electronauta" sono molteplici. E credo che al pubblico sia sfuggito un fatto fondamentale nell'interpretazione di questo lavoro: "Electronauta" è una raccolta di brani inediti scritti e realizzati tra il 1992 e il 1998. Dunque appartenenti ad una lunga fase transitoria, antecedente a "Phantom". I brani sono stati selezionati con l'aiuto dei miei produttori in una rosa di circa venti titoli e abbiamo cercato di mettere insieme l'album con la massima coerenza stilistica, di modo che non sembrasse davvero un'accozzaglia di pezzi sparsi. Anche perchè, in effetti, questi brani fanno parte di un unico discorso di ricerca che si è diluito nel tempo, ma che segue un percorso ben preciso.

> La scelta del titolo "Electronauta" ha qualcosa a che fare con la sua massiccia presenza su Internet?

Deca - Diciamo che è stato un caso fortuito, ma significativo. Molti tra i principali siti musicali italiani attualmente ospitano la mia musica e devo dire che il Web è un veicolo di divulgazione e distribuzione estremamente funzionale e capillare. Non sono un internauta incallito, però. "Electronauta" si riferisce piuttosto alla mia sete di avventura nell'affascinante universo dei suoni sintetici. Un universo che esisteva comunque prima dell'avvento di Internet.

> Si dice e si legge che la musica contenuta in questo cd sia attualissima, nonostante sia stata realizzata qualche anno fa. Da cosa ti è stata ispirata questa lungimiranza?

Deca - Credo dipenda dal fatto che la maggior parte delle atmosfere e delle situazioni siano ispirate ai quadri di H.R. Giger, il creatore di Alien. Le sue tematiche biomeccaniche fin dagli anni '70 hanno aperto spiragli angoscianti e molto avveniristici sul presente della scienza e dei rapporti tra uomo e macchina. Tematiche che non hanno mai perso il loro interesse e che hanno parecchi punti di contatto con il mio modo di vedere le cose. Nei brani di "Electronauta" ho cercato un compromesso tra questi contenuti e sonorità molto elettroniche, arrivando ad una sorta di technopop riletto in chiave futuribile. Per questo suona così attuale.

> Anche in virtù di una forte rivalutazione del technopop stesso...

Deca - Il technopop è stato il punto d'incontro tra elettronica e musica massiva, tra melodia e ritmo in un contesto di evoluzione tecnologica. Quasi tutte le band che negli anni '80 portarono avanti un discorso di questo genere oggi sono scomparse, a parte i Depeche Mode. Ma almeno due generazioni continuano ad amarle e nuovi cloni stanno nascendo sull'onda di un interesse che non è mai finito.

> A quali strumenti ti eri affidato principalmente per creare i brani di "Electronauta"?

Deca - Non ho mai abbandonato le mie vecchie tastiere Roland, con cui da anni continuo a creare suoni personalissimi. Mi sono poi avvalso di campionatori digitali e del computer per l'elaborazione dei rumori ambientali e delle voci, nonchè per la masterizzazione. Uso programmi come Cool Edit in fase di rifinitura. Ma ci tengo a precisare che tutta la musica, ritmi compresi, è suonata dalle mie mani, nota su nota, senza il facile ausilio di sequencer e software.

> Una precisazione doverosa, che hai più volte riaffermato esibendoti in concerti per solo pianoforte.

Deca - Mai rinnegare le proprie basi tecniche e culturali. E' grazie a quelle se sono arrivato a certi risultati. E francamente fa bene ricordare ogni tanto, al pubblico più scettico, che come musicista prevalentemente elettronico scrivo ed eseguo anche musica neo-classica e minimalista.

> Gli spettacoli live che proprio in queste settimane hai cominciato a proporre sovrappongono la promozione di "Electronauta" alle anteprime del prossimo progetto. Puoi darci qualche anticipazione in merito?

Deca - Questa sovrapposizione era necessaria, essendo alcuni pezzi di "Electronauta" già stati proposti in passato. Soprattutto quelli realizzati nella prima metà degli anni '90. Non volevo che l'album monopolizzasse lo spettacolo ed è giusto aver inserito qualche frammento del prossimo lavoro, che spero di pubblicare entro la primavera del 2001. Si tratterà di un nuovo cd molto più in linea col discorso di "Phantom", una sorta di colonna sonora virtuale che ha per protagonisti i sopravvissuti ad un esperimento di guerra chimica e il loro viaggio attraverso passato e futuro, in una dimensione molto onirica.

> Onirico è un termine chiave della tua evoluzione. Ultimamente la tua musica è stata definita "colonna sonora mentale": questo si lega strettamente all'approccio onirico che da anni hai con l'arte?

Deca - La dimensione del sogno, che io vivo come una realtà psichica speculare a quella fisica, distorce e influenza le percezioni e le sensazioni. L'arte è un po' l'elemento catalizzatore che permette di leggere i due livelli di realtà senza stacchi, in modo fluido e circolare. E poi il sogno offre sempre tracce rivelatrici, proprio come l'arte.

> E' risaputo che i tuoi concerti sono un'esperienza sensoriale completa e stimolante: musica, proiezioni video, suoni ambientali... Quali innovazioni hai introdotto quest anno?

Deca - Sostanzialmente nessuna. Nel senso che lo show continua a basarsi sulla proiezione di filmati girati e montati in proprio e sulla musica sincronizzata alle immagini. Poche luci, blu, radenti. Un impianto audio molto versatile con diffusori attivi costruiti artigianalmente dal mio indispensabile tecnico di fiducia (Alex Mazzitelli). Pochi strumenti sul palco. E questo ritengo sia il dato più importante: col tempo e con l'esperienza ho imparato ad ottimizzare logisticamente tutto. Essendo io solo a suonare, uso due tastiere - tra cui l'immancabile D20 - un microfono per la voce, una serie di materiali sonori storati in digitale su cd e stop. Inutile caricarsi di strumentazione, quando non ne hai bisogno. Il "prodotto" finale di cui usufruisce il pubblico è il risultato di suoni, luci, immagini amalgamati tra loro; non l'ammasso di tecnologia che sta sul palco. I tempi dei supergruppi ipervirtuosi sono finiti. I virtuosismi me li riservo semmai per il pianoforte.

> A molti addetti ai lavori sembra incredibile che tu riesca ancora a produrre sonorità così originali con un Roland D20.

Deca - E' sempre esistito il diffuso preconcetto che le tastiere della generazione del D20, quelle della sintesi lineare aritmetica, fossero poco versatili e poco professionali. A parte il mitico D50, la Roland non ebbe le giuste attenzioni per quelle macchine. In realtà la cosiddetta L.A. Synthesis mi ha consentito di personalizzare al massimo i suoni, prescindendo dai banali preset, e costruendo timbri essenziali per il genere di musica che faccio. Provare per credere. Il 50% della mia discografia è strutturata su tastiere Roland serie D. Negli studi dove vado a registrare ogni tanto restano sbalorditi da ciò che posso fare con un D20. Il fatto è che molti musicisti oggi si sono impigriti e si servono della tecnologia come si nutrono di cibi surgelati precotti. Non riescono dunque a scavare e ad interpretare le potenzialità delle macchine semplici. La potenza di una macchina sta nel conoscerla a fondo.

> Per questa ragione si è verificato un grosso ritorno delle macchine analogiche di un tempo, che oggi hanno riacquisito valore e credibilità, specie nella techno e nelle sue varie filiazioni.

Deca - Indubbiamente. Io ho lavorato con vecchi synth monofonici, così come con workstation grandiose come Yamaha SY99; raggiungendo obbiettivi comunque rilevanti nell'economia del progetto che volevo realizzare e indipendentemente dall'età della macchina. Fare musica significa anche creare i suoni ed elaborarli, renderli aderenti alle atmosfere volute, alchemizzarli... Che è il percorso seguito da tutti i precursori: un percorso di ricerca.

> E il ruolo dei personal computer?

Deca - Il pc ha fluidificato e sintetizzato molti processi di produzione della musica; tanto che ne fanno uso anche i gruppi tipicamente acustici, le rock-band, persino le orchestre sinfoniche. Insomma, è la tecnologia che consente di risparmiare tempo e denaro offrendo simultaneamente vantaggi operativi enormi. La produzione di un qualsiasi disco oggi non può prescindere dall'uso del computer. Il pc di oggi deve essere il tramite tra musicista e suono, tra artefici del suono ed esigenze del mercato. Adeguarsi al digitale significa usare il computer per ottenere la miglior qualità audio in modo flessibile. Ma attenzione: parliamo in realtà di post-produzione. Perchè nel caso in cui il computer diventi il surrogato del musicista e delle sue idee, allora arriviamo all'encefalogramma piatto, allo svilimento della creatività,all'omologazione dell'arte. Che è lo scenario contro cui tutti i musicisti d'avanguardia si battono.

> Alla luce di queste constatazioni, esiste ancora uno spazio evolutivo per la musica elettronica e per la sua identità?

Deca - Penso che la grande convergenza dei generi non passi tanto attraverso l'uso della tecnologia, quanto attraverso il tipo di suoni e di ritmi. Per cui se il fronte della musica elettronica vera e propria saprà mantenere viva la sua identità, ci saranno ancora grossi margini evolutivi. L'identità va cercata, appunto, nei suoni; che devono continuare ad affermare le loro caratteristiche intrinseche, devono rivendicare con orgoglio la loro radice sintetica, devono insomma difendere la pari dignità e la grande ricchezza emotiva della musica elettronica.

 

Discografia
Alkaid - 1986
Synthetic lips - 1987
Claustrophobia - 1989
Premonizione humana - 1992
Phantom - 1998
Electronauta - 2000


"Electronauta" (songs)
1. Alien rain chrisalide
2. Seven dots
3. Biomechanic terminal
4. Dreams run
5. Clone vision
6. Coma flowers
7. Silence and sex
8. Pnakotic
9. Suspended frame
10. Bodances


 




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Deca




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advanced technologic sound magazine
2000 december issue 88



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